I Black Stones già dal nome non lasciavano dubbi sulla loro attitudine elettrica: una miscela esplosiva di hard rock che coniugava la magia nera dei Black Sabbath e il rock intriso di blues della band di Mick Jagger. Sono stati tra i gruppi più attivi nei lontani anni Settanta e il loro bacino di utenza era il cagliaritano, ma negli anni di attività hanno calcato ogni angolo di Sardegna e anche qualche sortita in continente giusto per testare le proprie possibilità. Purtroppo, di questa band (o meglio complesso come si usava a quei tempi) sono rimaste poche tracce, solo i ricordi di chi ha vissuto quella storia: in rete nessun video, niente streaming, rimane giusto qualche bella foto d’epoca e la possibilità di acquistare al mercato dei collezionisti l’unico 45 giri prodotto nel 1971 pubblicato dalla Polimusic: Risveglio / Mondo Nuovo, con quotazioni su Discogs abbastanza proibitive, a meno che Santa Klaus non decida di farvelo trovare sotto l’albero.

La formazione originale ruotava intorno al chitarrista Mario Scano e a suo fratello Pierpaolo, noto Piero, al basso e voce. A quel nucleo nella fase iniziale si aggiunsero Gianni Veroni (chitarra), Vincenzo Palla (tastiere) e Anselmo Masala (batteria) e nel tempo sono approdati da queste parti Silvestro Grecu, Tonino Serra, Pierluigi Murenu, Piero Cotza, Giuliano Salis, Sandro Musino, Andrea De Murtas, Marco Mameli, Francesco Ghiani, Franco Corda, Orlando Johnson (fratello del più famoso Wess), Patrizia Bilardo, Omar Serra, Marco Santus, Efisio Manconi, Giorgio Piano e chissà quanti altri hanno dato il loro contributo alla causa.
Le poche foto d’epoca ci mostrano una band in perfetta sintonia con il look del tempo: lunghi capelli al vento, vestiti attillati, colori sgargianti, qualche spruzzo di glam e un’attitudine di selvaggia partecipazione al rock più sanguigno e viscerale. Oggi li avremo liquidati come derivativi e poco originali, ma credo che di queste cose loro se ne fregavano altamente: l’importante era suonare e vivere una stagione irripetibile e unica in una realtà – quella sarda – ancora chiusa e poco propensa alle sirene del nuovo mondo. E chi li ha visti dal vivo può testimoniare quanto fossero bravi e in tiro, sinceri, coerenti e appariscenti al punto giusto. Gli elogi ricevuti al festival pop di Villa Pamphili a Roma nel 1972 confermano una band di enorme valore il cui grande limite, in quegli anni, era soprattutto geografico. In quel frangente proposero i loro brani più famosi, qualche nuova composizione che purtroppo non è mai stata incisa e cover dei mostri sacri del genere. Tentarono anche di strappare un contratto alla EMI nei primi anni Ottanta ma non se ne fece nulla e la band lentamente si concesse il meritato riposo dopo circa 15 anni di schermaglie elettriche e viaggi interstellari. Negli anni Novanta Mario Scano provò a ricreare quella formula magica e si concesse il lusso di suonare ancora per il suo fedele pubblico poi, nel 1998, la triste notizia della sua scomparsa e la fine di un sogno e di un gruppo che ha lasciato ricordi indelebili. It’s only Rock’n’Roll (but I Like It) sarebbe il giusto epitaffio.