Battista Dagnino. Musica tabarkina.

Claudio Loi Retromania

Quando si parla di Carloforte è facile andare a sbattere nei soliti luoghi comuni: l’isola nell’isola, la diaspora genovese-tabarkina, il mare che tutto accoglie, la bontà della cucina e del pesce. Ma questo è e in fondo è giusto così. Abitare quei luoghi ti porta a essere un’anima in perenne transito, un cittadino di un mondo dai confini marcati e circondati dall’acqua ma anche di essere uno, nessuno e centomila, portatore sano di malinconia mediterranea.

Questa miriade di culture, di scambi e incontri hanno segnato anche la musica di quella terra, subito riconoscibile per la sua natura frastagliata e piena di altri umori, per essere qualcosa di unico e allo stesso tempo figlia bastarda di mille anime. Da Fabrizio De André passando per Mario Brai ma anche per le più popolari forme di musica autoctona è tutto un respirare di viaggi, di tragedie che il mare non cancella, di tormenti e di eterni ritorni.

In questo cotè così imprevedibile e salmastro è giusto inserire anche la voce di Battista Dagnino altro figlio di un’isola che non finisce mai di sorprendere, sincero e viscerale come i suoi conterranei e degno esponente di una tradizione che non ha mai smesso di evolversi e cercare nuovi approdi. La carriera di Dagnino è quella tipica di chi partecipa a questa sorta di eterna mitologia dei luoghi e della gente che vi abita, la perpetuazione di una cultura che sente un forte senso di appartenenza e un sanguigno bisogno di far sentire la propria voce.

Un video che riprende un’esibizione a Videolina di qualche tempo fa ce lo presenta proprio nella sua veste più canonica di cantore di cose e pensieri multiculturali e di una lingua che contiene infiniti rimandi a tutto quello che dall’isola arriva e riparte. Per approfondire la conoscenza di Battista Dagnino potrà essere utile recuperare le rare incisioni discografiche che in questi anni hanno visto la luce e che ogni tanto affiorano come naufraghi che finalmente trovano la loro terra: un disco inciso in compagnia di Silvio Canargiu nel 2006 dal titolo A Que (forse la cosa migliore) e un più recente album del 2018 intitolato L’anima che batte. Oppure intercettare un qualche live clandestino possibilmente nella sua isola e insieme alla sua gente.