Atti Innaturali – Simon Balestrazzi

Claudio LoiMusica, Recensioni

La copertina del nuovo album di Simon Balestrazzi ci accoglie con un campionario di ferraglie, bulloni, viti, ruggine e ossa. Materiali dimenticati dal tempo, abbandonati in qualche officina dismessa, corpi morti ma ancora intrisi di poesia e significati reconditi. Sono gli stessi scenari che Balestrazzi ci aveva mostrato nel booklet di Cautionary Tales e, ancora prima, in The Uncanny Little Sparrows un album dei suoi Dream Weapon Ritual: fabbriche in disuso, macchine tagliate fuori dai meccanismi di produzione, rimanenze di un ciclo ormai concluso che sopravvivono alla loro stessa sorte e si ripropongono come simulacri del tempo e oscuri oggetti del desiderio. 

Eppure quelle cose contengono nel loro intimo le voci di chi le ha desiderate e poi abbandonate, lamenti e salmodie fatte di sudore, fatica, persino piacere. E se quei suoni così arcani e indecifrabili non possono essere codificati e archiviati possono in qualche modo essere ispirazione e divenire artificio estetico. Forse gli a cui si riferisce Balestrazzi non sono le umane e dolci devianze del nostro vivere ma quella voglia di andare oltre la polvere del tempo, di scavare nel profondo delle cose e scardinare l’anima degli oggetti. Un lavoro in solitaria ma non troppo: ad accompagnare Balestrazzi ecco il supporto immaginifico di Laura Farneti che riesce ad andare sempre oltre, e accorre in aiuto anche la sapienza secolare di Paolo Sanna che da sempre è affascinato dalle più svariate sorgenti di suono e dalla loro origine. Non di meno l’appoggio incondizionato della che fornisce alloggio e supporto logistico alle anime più destabilizzate della ricerca musicale. 

Pochi strumenti, poche cose servono a Balestrazzi per portare a compimento questa suite articolata in tre movimenti: bastano alcune corde, qualche tamburo da accarezzare e la riscoperta di macchine elettroniche dei tempi andati. Il tutto concepito e assemblato grazie a un’esperienza nel settore che pochi altri possono vantare. Anni e anni a studiare, capire, interrogarsi su cosa sia quella strana cosa che chiamiamo musica e che col tempo ha perso sempre più significato. I suoni creati da Balestrazzi si posizionano oltre le ferree logiche della composizione e dell’ascolto: nessuno spartito, niente regole, nessuna possibilità di replica e ripetizione. Ogni frammento di rumore si consuma nel momento stesso della sua creazione e questo lo rende ancora più prezioso e inafferrabile. E la magia di questa drammatica scelta si svela quando cose che sembrano finite e inutili riprendono a generare sogni e a farci sentire meno precari e persino più umani. Come afferma Iain Chambers: “La musica, come una forma del divenire, non è tanto ciò che è stato, quanto ciò che potrebbe essere: linee di fuga, solco della vita, mondo ancora da venire”.