Quando ti rendi conto che le ispirazioni post sabbathiane sovrabbondano, ecco che ti compare qualcuno che va dritto dritto alla radice albionica dell’universo, ai primi vagiti di quella congrega in parte baffuta e in parte no. E questo riguarda gli Arkon e il loro omonimo album, almeno per la componente sonora. La voce di Alberto Melis no: per fortuna non abbiamo un clone di Ozzy (e nemmeno di Ronnie Dio e del più sottovalutato Tony Martin). L’effetto è quello di avere delle linee vocali a metà strada tra un Geoff Tate e un Enrique Bunbury. Cosa che al primo ascolto spiazza un po’, complice anche il codice linguistico (su sardu) raramente utilizzato in tessiture sonore del genere. Se siete adepti di Iommi e congrega il disco fa per voi, dai riff più vertigo di Sacrifìtziu alle solitude arpeggiate di Inghìrios. E se Ozzy vedeva fate con gli scarponi «’cos smoking and tripping is alla that you do», qui si chiude con Sa Jana. L’album è pubblicato per la Doom Symphony Label e registrato a Oristano da Fabrizio Sanna.