“Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini”. In orbita sulla Vostok 1, a 300 km di quota, il 12 aprile del 1961 Jurij Gagarin – primo uomo nello spazio – commentò così la vista del nostro pianeta. Servono giusta distanza e un certo distacco per osservare le cose da un punto di vista altro – d’insieme e globale. Gli Apollo Beat con Sfera, loro ultimo lavoro, senza mai lasciare davvero il pianeta, hanno provato a trascenderne i confini diretti verso nuove visuali da cui coglierne il quadro.
Fin dall’omonimo brano di apertura tutto sembra assumere una dimensione circolare: cicli psichedelici e ritmi rotativi introducono Kupu Kupu, primo assaggio di musica suonata che, complice la suo fusion afro beat, delinea il suggestivo richiamo cinematico che permea il lavoro. Una breve suite di bassi voluttuosi, Luna 22, proietta in una certa controcultura anni ‘70 fatta di fantascienza e poliziotteschi; uno strobo si accende a far scintillare synth e strass e irrompe la disco raffinata della successiva Radiomania.
Ma all’improvviso Luce squarcia la scaletta. Il primo cantato – benissimo e in italiano – di Giuseppe Bulla non cambia l’orizzonte temporale ma, combinando progressive e cantautorato, stravolge i riferimenti ed esplicita alcuni punti cardine del concept: le frontiere, la percezione della lontananza e di ogni cosa che sta intorno.
Una nenia ancestrale, un accenno di trunfa sintetica e un canto a tenore, campionati con rispetto, si fondono nel magma sonoro che accompagna al beat mediterraneo di Le origini – forse la commistione più singolare e interessante del set. Ripete le premesse, così come la matrice, ma osa nei suoni, portando definitivamente il disco oltre le zone di comfort attraversate fino a questo momento, audace non tanto nelle singole scelte quanto nelle stratificazioni di fiati e chitarre – mai ridondanti – che guidano il brano.
Un coro canta Shine on in loop e introduce Duo Balls, pezzone funky che sa di umidità e latitudini equatoriali, preludio della chiusa perfetta di Limite. L’ultimo pezzo cantato chiarisce in definitiva le vere intenzioni dell’album: chiamando in causa gli elementi naturali chiude un cerchio narrativo che racconta di tempo e spazio, di distanze e divergenze tra gli uomini e verso il loro immaginario. “Prova a immaginare se ci fosse un mare, lì dove c’è il limite”.
A tratti molti elementi sono un discreto, seppur notevole, richiamo a stilemi ormai consolidati. Più spesso le riletture sono coraggiose e mostrano una sensibilità eufonica non comune. Tra sonorità primordiali e archetipi solo all’apparenza di facile impatto, Sfera accompagna lo sguardo con forza e semplicità verso altre prospettive, non così remote come si potrebbe credere.