Recensione di Angelo Pingerna
A volte buttarsi a scrivere di pancia su un nuovo cd puo’ essere pericoloso. Se il disco ti suona subito bene, dopo qualche mese si corre il rischio di tornare sui propri passi. Mi e’ successo anche con band più blasonate e conosciute.
L’album degli Apaches mi e’ piaciuto subito, a primo botto. L’ho ascoltato per tre giorni di seguito. Poi l’ho messo da parte per un mese. L’ho rimesso su dopo un bel po’, seduto sul divano con un bel bicchiere di vino e di nuovo ho finito di ascoltarlo con un bel ghigno. Come a confermare la mia impressione del primo periodo di ascolti.
Rimesso nuovamente a posto, oggi mi si è materializzato davanti come un richiamo. Inserito nel lettore e, ancora sorpreso, questo disco mi piace proprio e non poco. Il discorso è che gli Apaches di Ant Morrison sono una band a se.Non hanno paura di non avere hype, vanno avanti dritti per la loro strada.
Brani lunghi che spaziano fra rock, hard rock, progressive e qualche spruzzata di blues acido qui e là, creando un viaggio che ha vaghe intenzioni psichedeliche. I testi sono accompagnati da una registrazione abbastanza calda come se fosse registrata live. L’idea è quella di un album da viaggio in auto, da lasciare come sottofondo senza tanti pensieri, specialmente in questo caldo inverno soleggiato.
Lo vedo molto bene anche durante un bel viaggio introspettivo invernale, seduto davanti allo stereo, con un buon rosso o una bella grappa, magari un sigaro. Le migliori canzoni? Carovana Magica su tutte, 6 minuti di goduria pura, poi Esci dagli schemi, La vecchia signora, Schiavo del pensiero.