Angus Bit – Aria

Simone La CroceMusica, Recensioni

Sentirne il suono, vedere l'elasticità, documentare, perché i suoni sono percepibili da chiunque, sono elementi che riescono a scuotere molto l'intimo della persona”.

A queste parole di Pinuccio Sciola viene lasciata l'incombenza di introdurre il nuovo, atteso, album di , intitolato semplicemente “Aria” e pubblicato oggi in formato fisico e digitale da , che lo accompagna fin dagli esordi. La citazione dell'artista sparadese – celebre proprio, ma non solo, per i suoni che è stato capace di tirar fuori dalle sue pietre scolpite – è solo la prima della lunga serie di tessere che compongono il mosaico creativo di Nicolò Angius. E non è certo una citazione casuale: i riferimenti all'elasticità del suono, alla sua percezione e alla sua capacità di scuotere nell'intimo, uniscono i puntini di Aria e ne tirano in qualche modo le somme. 

Il lavoro di Angus Bit è in perenne evoluzione e segue la sua crescita, umana e musicale. Si affina nel tempo e a ogni nuova pubblicazione sembra voglia perfezionare quanto fatto nei lavori precedenti. Aria riparte proprio da Jazz Things and Other Stuff, ultimo suo LP di cui avevamo tessuto le lodi, e di quello riprende la forma “contenitrice” di quelle sonorità e quelle suggestioni che al tempo erano l'aria di cui si nutriva. E l'aria che confluisce in questo lavoro è decisamente diversa. Non più le varie sfaccettature del cool, ma un'aria di casa, quella che ne ha accompagnato la vita, tanto quella che ha potuto respirare l'Angus adulto, quanto quella che ha tenuto sospeso l'Angus bambino ritratto nell'artwork di Sebastiano Sebo Arangino, che ha brillantemente curato anche le animazioni e le illustrazioni dei singoli che hanno anticipato l'uscita del disco. Sono proprio le tracce e i paesaggi sonori ripresi nei brani a stendere e guidare il filo narrativo del disco: i rumori dei parchi cittadini (Monte Urpinu in Ajaja e Monteclaro in The Fall), quelli del mare (il Poetto in Aria, Piscinas in Eco, Calamosca in Friaxu, Marceddì in Lu Limbiccu), la pioggia in Blind Days, le strade di Cagliari in Hanichi, il canto a tenore in Como Te, la poesia in Arrepentina, le fontane in Whistling Girl e i bimbi che giocano in Vera, che chiude il disco.

Una heart shaped box dei ricordi, dei suoni di cui parla Sciola nell'incipit, che si fanno aria, ci entrano dentro e lì restano per una vita intera. Ricordi persi nel tempo e ricordi che ancora devono diventarlo, raccolti nell'arco di due anni “in diverse stanze d'appartamento durante molteplici traslochi e cambiamenti radicali”. Come ci ha abituato finora, Nicolò continua, in maniera brillante e mai passatista, a far coesistere pregresso e attuale, conferendo a dettagli sonori solo apparentemente secondari, lo status di attori principali, come a voler sottolineare che sono le reminescenze laterali – i rumori, le atmosfere, gli odori – a fare da perno alla modellazione di ricordi più strutturati, come un viaggio, una vacanza o una stagione.

E come nella formazione del ricordo, anche la composizione di Angus mette insieme i pezzi fino a farli diventare canzoni, attraverso un'opera di sound-collage debitrice della migliore produzione UK-bass e pregna tanto di riferimenti black, quanto di richiami al repertorio tradizionale. Non è infatti casuale il feat. con Futta e WallDot in Lu Limbiccu. L'approccio artigianale resta evidente nell'opera di campionamento e nella commistione di acustica ed elettronica, mentre la bassa fedeltà questa volta è smussata da una produzione più minuziosa rispetto al passato, lavoro di fino che gli permette di dare maggior risalto ai dettagli. La registrazione in presa diretta fa il resto, desofisticando il risultato finale e dando all'ascoltatore un'anticipazione reale di quello che sarà il risultato live. Insomma, Angus Bit resta sul pezzo e continua ad aprire nuove strade verso spazi sonori noti, ma ancora troppo poco esplorati.