Federico - Murzi - America - Luigi Frassetto - Nuoro - Sassari - Spotify - player - 2020 - Sa Scena Sarda - 14 Ottobre 2020

America – Federico Murzi

Luigi BuccuduMusica, Recensioni

C’è tutta l’età d’oro del cantautorato italiano in America, l’esordio discografico di Federico Murzi.

Nato a Nuoro, ma Sassarese di adozione, Murzi fa della dimensione intimista la sua cifra principale. Questo primo full lenght – prodotto, arrangiato e mixato da Luigi Frassetto – è un’enciclopedia stilistica e umorale di quella che è stata la canzone d’autore tra gli inizi degli anni 70 e la fine degli 80. Ascoltandolo si possono cogliere le tappe fondamentali, i percorsi intrapresi e, se vogliamo, anche i vicoli ciechi che hanno segnato quel momento musicale.

La scrittura elegante e sensibile del cantautore caratterizza tutti i nove episodi autoconclusivi, i quali variano discretamente tra loro per sonorità. Non un concept, quindi, ma un insieme di belle canzoni raccolte in un album – come accadeva quando prosperavano i jukebox – e unite soltanto dall’urgenza dell’autore di esprimere i propri momenti di introspezione.

Echi di Vecchioni, De Gregori, Fortis o anche – soprattutto in certi sapori folk rock di matrice americana – del Bubola del sodalizio con De Andrè sono miscelati in un concentrato di richiami difficilmente isolabili ma efficaci, che vanno a comporre la scenografia intorno alla voce dell’autore. È evidente, nello specifico, il prezioso apporto in fase di produzione di Frassetto che, con classe cristallina, trova l’equilibrio tra debito e omaggio, rendendo l’intero lavoro emotivamente così affascinante.

Si parte sui binari sicuri della ballata , che dà anche il titolo all’album, e si arriva alla pianistica Sui vetri appannati del tempo, minimalista e nostalgica, passando per territori “acustica e voce” come Atlante o Angie nei quali Murzi si muove con disinvoltura. Nel mezzo spiccano la cavalcata metropolitana di Un Amore e la tesa e sofferta Il Re della pioggia, probabilmente la traccia più a fuoco dell’intero set, dove il mood in minore viene splendidamente sorretto da un arrangiamento mirato, empatico e crudele.

Un’opera nel complesso brillante ma non priva, però, di qualche ombra. America, in alcuni momenti, sembra prigioniero della sua confezione perfetta, della sua minuziosa e puntuale citazione stilistica che fa apparire talvolta, ed erroneamente, la verità dell’autore una magistrale bugia. Cosa che è assolutamente distante dal vero e perciò, seppur in minima parte, disturbante. Il songwriting di Murzi è maturo e sofisticato, ed è per questa ragione che forse servirebbe maggiore azzardo, un’esplorazione più profonda del baratro, senza doversi legare a una tranquillizzante corda di sicurezza che rischi di far sembrare il tutto un rodato esercizio.

Al di là di questo, America rimane una delle opere prime più interessanti dell’anno, la testimonianza di un autore che va scoperto con attenzione, rivalutando quel garbato linguaggio poetico che è raro trovare nelle composizioni contemporanee, e di cui forse si avrebbe ancora bisogno nella schizofrenia comunicativa di quest’era iperconnessa.

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