Recensione di Anita Ferro
Secondo il padre fondatore dell’ambient Brian Eno «Un ambiente è definito come un’atmosfera, o un’influenza che circonda: una tinta». La sua affermazione è la chiave di lettura ideale per accostarsi all’ultimo capitolo di Ambient Guitar Sessions di Perry Frank, 31-40, rilasciato lo scorso sei marzo, e la si può pure considerare un’emancipazione per il sottofondo, etichetta con cui si è spesso relegato l’intero genere in un ruolo di ingrata irrilevanza.
Mentre la tradizione vuole i musicisti blindati in sale insonorizzate e intenti a far scomparire ogni interferenza che non sia ricercata e dominata, Francesco Perra spalanca le porte al caso e fa dell’esaltazione dello scenario una delle impronte digitali della sua opera. Il progetto nasce nell’ottobre 2014, quando il polistrumentista iglesiente comincia a trascinare tutta la sua strumentazione – inverter, ampli in stereo, microfoni e uno stuolo di pedali – in punti più o meno desolati della Sardegna e registra dal vivo le tracce dei suoi dischi.
I titoli dei brani vengono, poi, accompagnati da luogo e data di registrazione, magari non un vezzo, ma più di un indizio. Pensandoci bene, si può dire che un suono abbia delle coordinate e, sfruttando la proprietà commutativa, anche il contrario: Berlino, per esempio, non suona come Campo Donanigoro e viceversa. Un posto, quindi, possiede una frequenza intrinseca, non replicabile altrove, che lo caratterizza. Aggiungendo allo spazio il tempo, ciò che otteniamo è il cardine attorno al quale il lavoro e la ricerca dell’artista sembrano essersi sviluppati: l’hic et nunc. È così che disturbi quali i fruscii della natura o addirittura i clap metallici delle pedaliere assumono un’importanza nuova e preponderante: amalgamandosi alle note dilatate della Stratocaster, diventano parte integrante della composizione e la trasformano, restituendo degli attimi un ricordo, l’identità amplificata; e se si volesse fare l’azzardo di intendere un attimo alla maniera heideggeriana – non un banale succedere, ma le possibilità che si aprono all’Essere e determinano il “presente autentico” – si potrebbe forse sentire il riverbero di un vivere sincero.
Se i Bleu di Miró fossero esposti in un mercato rionale, o un Banksy al MoMa [ndr. accadde davvero, nel marzo del 2005] probabilmente affascinerebbero, ma potrebbe anche capitare di non notarli affatto. Ambient Guitar Sessions “1-40” è un po’ un grande contenitore di realtà immanenti e sofisticate – fatte di Sulcis, esistenzialismo e musica – che mostra quanto ciò che ignoriamo modifichi l’essenza delle cose e la percezione che ne abbiamo, e quanto una parete bianca non sia per forza un elemento trascurabile, ma talvolta proprio ciò che permette di valorizzare il quadro.

