C’è un’inquietudine carsica che percorre una certa idea di elettronica e di suono. Un marciare algido e tenebroso che sembra portare a galla la spersonalizzazione dell’essere umano nella lotta uomo/macchina. Nel caso di The Synagogue, seconda prova discografica per Allee der Kosmonauten (al secolo Massimiliano Achenza e Stefano Idili), ciò che questa inquietudine fa emergere è la suggestione narrativa dei luoghi, delle persone che li hanno vissuti e della loro capitolazione in quanto vittime davanti ai propri carnefici.
Si parla della comunità ebraica nella sinagoga di Staudernheim, si fa ovviamente riferimento alla II Guerra Mondiale, ma indirettamente anche alle «esperienze passate di migrazione, sia forzata, sia liberamente scelta, che hanno caratterizzato fortemente la storia della vita ebraica» del luogo (parole di Massimiliano Achenza). E di come l’oppressione dell’uomo sull’altro sia il perno tragicamente ineludibile di una storia straziata e straziante destinata a ripetersi.
Nato dalla sonorizzazione di Achenza e Idili per il progetto interattivo Carry On dell’artista israeliana Sharon Paz, The Synagogue è composto da cinque brani più due remix delle tracce Kitchen e Garage (ai pulsanti, direttamente da Berlino, Gigiotto Von Alt e Dj Elektrobob ).
Il concetto che sottende lo sviluppo narrativo dell’Ep è quello della stratificazione storica. Negli anni la sinagoga è stata un luogo di culto, ma anche tante altre cose che ci vengono suggerite dai titoli dei brani (Kitchen o Garage, giusto per citarne due). Sul piano formale la stratificazione è il tòpos compositivo del disco. Un certo gusto glitch và a infrangersi su sinusoidali tappeti minimal, disturbanti drum machine, ora più dritte ora più sghembe, e dintorni drone/ambient. Lo spettro di atmosfere usato da Achenza e Idili è vario e, nonostante lo spazio relativamente ridotto (poco più di trenta minuti), i due musicisti amministrano il pentagramma con calligrafia appassionata e accorta. C’è spazio sia per dei fiati mefistofelicamente disneyani che per un’intromissione da hauntologia di voci bambinesche su sferragliare metallico. L’uso del (cosiddetto) rumorismo, pur senza rappresentare certamente un unicum, non è mai prolisso o sopra le righe rispetto all’ economia narrativa. È peculiare inoltre il senso di irrequietezza che permea l’intero Ep, quasi che a vegliare sul nostro ascolto, mentre ci guida tra i tavoli di una cucina o in un magazzino polveroso, ci siano la faccia efebica di Florian Schneider o il sorriso demoniaco di Richard David James.
Insomma, c’è di che complimentarsi con Allee der Kosmonauten: The Synagogue è un lavoro compatto e fascinoso, crudo nel messaggio ed eterogeneo nella forma. L’attenzione ai dettagli è certamente figlia di chi mette passione in ciò che fa, ma dacché morettianamente parlando la passione da sola non basta si possono e si devono sottolineare senz’altro il talento e l’inventiva. Non è poco e il risultato strappa un meritato applauso.