Qualche mese fa lamentavamo, sulle pagine di Sa Scena, una certa scarsità di produzioni originali – tanto inedite, quanto insolite – nel panorama jazzistico isolano. Con l’entusiasmo di chi ama essere smentito, aggiungiamo alla lista già formata dai recenti Freakenstein dei Freak Motel e Teju di Filippo Loi, anche il disco d’esordio del trio formato dal batterista Alessandro Cau, il contrabbassista Tancredi Emmi e il trombonista Federico Fenu. Progetto e disco portano il nome di Pororoca, onda di qualche metro che, spinta dal mare, risale l’estuario di grandi fiumi, spazzando via, con gran frastuono, tutto quello che incontra. Interessante metafora della propulsione con cui i tre irrompono in una scena jazz spesso troppo seriosa e accademica, che mai come in questo momento avrebbe bisogno di imprudenza e di una bella dose di sfacciataggine.
Doti che non inficiano certo le capacità dei musicisti, tutti scafati e con anni di studio, ricerca ed esperienza alle spalle. Anzi, gli consentono di permettersi i divertissement di cui sono zeppi i quaranta minuti di Pororoca. Divertissement sparsi all’interno di un disco solo apparentemente conciliante, evidentemente nato dall’improvvisazione, ma ricchissimo di complessità, contraddizioni e raffinatezza contemporanea, pur con lasciti rock e dixieland a rimpiazzare elettronica e afrobeat. Il trombone languido di Fenu viene eletto a strumento solista – novità non trascurabile già solo questa – e si fa carico del trasporto emotivo del disco. La notoria flemma dello strumento rispetto a ottoni ben più abusati con dinamicità nel fraseggio più votate al sensazionalismo, ben si presta ai cromatismi microtonali richiamati da Fenu, che lo fa lamentare, biascicare e cantare sguaiato ma sempre elegante, con e senza sordina. Ma nessuno in questo disco è davvero protagonista e nessuno è comprimario. Ogni membro del trio ha contribuito alla scrittura dei brani e anche nell’esecuzione tutti trovano spazio con i propri specifici linguaggi espressivi. Si sente forte la mano di Alessandro Cau (formalmente alle percussioni, informalmente a tutta una serie di cianfrusaglie che tra le sue mani emettono qualsiasi suono) che anche in questo nuovo progetto si conferma, oltre che uno strumentista visionario, anche un interessante compositore (vedi Seu). Le linee di basso di Emmi, pur muovendosi su trame perlopiù modali, trovano comunque sempre il modo di sorprendere, come in Colofonia, di cui Mingus sarebbe fiero, o nel walking bass tachicardico di Sempre peggio. Perla del disco: Ottobre, lunga suite in cui il trombone di Fenu e la voce di Adele Altro, ospite illustre, si rincorrono accompagnati da un sottofondo in crescendo epico che esplode dopo oltre sei minuti in un liberatorio abbraccio collettivo.
I pezzi di Pororoca sono nati da idee dei singoli e sono stati riarrangiati in session di improvvisazione, durante le quali è stato curata la forma finale, giocata tanto sulla ripetizione (Pororoca Rondò, Varanasi), quanto sulla sorpresa nei cambi di ritmo, tempo e trama (Colofonia, Sempre peggio). Ecco, la bellezza di questo album sta proprio nella rifinitura finale, frutto del lavoro corale dei tre – musicisti molto diversi fra loro – che hanno trovato la convergenza perfetta nell’idea stessa alla base del progetto: il flusso, la dirompenza e il coraggio di giocare seriamente con la musica. L’album è uscito in cassetta per 42 Records, label estranea al jazz, che, però, produce gente come Any Other (in cui Alessandro Cau ha anche militato come batterista), Julie’s Haircut, Giardini di Mirò, Cosmo o I Cani. Ecco, forse non è un caso che un’etichetta così attenta alla qualità musicale non si sia lasciata sfuggire l’occasione di ampliare il proprio catalogo con un elemento “estraneo” come Pororoca. Bravi tutti.