Electric Valley Records – Heavy Psych Sound, 2019
Recensione di Daniele Mei
Un funereo rintocco di campana accompagna l’ardere di un fuoco durante un rito magico. Citazione inequivocabile dall’album di esordio dei Black Sabbath, in cui il protagonista non è il fuoco ma la pioggia, che cade copiosa tra le tenebre.
Questo è l’incipit dell’esordio dei 1782, così come lo è stato per il disco che ha dato inizio alla storia, nel 1968, della gloriosa formazione di Ozzy Osbourne e al doom tutto: un esordio, questo della band di Ossi, nel quale la fascinazione per i quattro di Birmingham emerge lampante.
Il nome del gruppo e il titolo del disco si riferiscono all’anno in cui venne assassinata Anna Goeldi, l’ultima donna ad aver subito una condanna per stregoneria in Europa.
Ed è proprio intorno alla caccia alle streghe che si sviluppa il concept dell’album. The Spell – Maleficium Vitae, She was a Witch, Black Sunday (altro riferimento ai Sabbath) e Oh Mary! sono racconti, tra storia e leggenda, di atrocità perpetrate nei secoli verso le anime che si riteneva fossero possedute dal male e dedite alla magia nera, in un periodo storico dove i dogmi ecclesiastici prevaricavano la ragione.
Il suono delle otto tracce di 1782 è minaccioso, cupo, ossessivo, al limite del claustrofobico. La batteria suona come se fosse percossa con dei martelli e il fuori tempo le conferisce un effetto ancora più sinistro. Le note del basso e della chitarra sono gravi e distorte e, insieme alla voce sgraziata e soffocata, sembrano provenire direttamente dall’oltretomba.
Ma da questo magma vulcanico depressivo in fase di raffreddamento si può comunque emergere e respirare con le accelerazioni di Night of Draculia, con il notevole assolo di chitarra di Gabriele Fiori in She was a Witch e con le virate psichedeliche, dettate dall’hammond di Nico Sechi nel finale della title track e nell’ultima traccia Celestial Voices.
Questa è anche l’unica cover, tratta dalla suite A Saurceful of Secret (sempre del ’68) dei Pink Floyd.
I 1782 sono Marco Nieddu, Gabriele Fancellu e non sono musicisti di primo pelo.
Il primo, oltre a essere fondatore e proprietario di Electric Valley Records, l’etichetta che ha prodotto l’album insieme alla romana Heavy Psych Sound, suona in altri importanti progetti del filone stoner isolano come i 24moons e i Raikinas, nei quali suona la batteria anche Fancellu.
Insieme al nucleo centrale e ai due già citati sopra, trova spazio in 1782 anche un altro membro dei Raikinas, Alfredo Carboni, che presta la sua voce in Celestial Voices e nel coro di The Spell.
Questo omonimo debutto è sottotitolato Doom per non lasciare adito a dubbi e fraintendimenti, come se scegliesse lui dove stare nello scaffale dei dischi. I primi ascolti, in effetti, possono lasciare indifferente chi non è un cultore del genere, ma superato quel momento, le sfumature che inizialmente lo rendono un album ostile e cupissimo, si impongono consentendo di mettere a fuoco i brani e trovare quegli scampoli di luce che fanno di 1782 una piccola perla nera di questo 2019.